Ogni nazione ha le sue tradizioni, che osservo, che in parte cerco di capire e che poi applico, cercando di creare un bel mix con la mia forte italianità.
L'anno scolastico in Inghilterra termina a fine luglio ed il periodo delle gite scolastiche inizia generalmente tra maggio e giugno.
Generalmente le classi delle scuole inglesi effettuano una o più visite d'istruzione in base agli argomenti che stanno trattando durante i vari quadrimestri.
Per mio figlio Daniele, per esempio, che in Year 2 (una specie di seconda elementare italiana) hanno studiato la preistoria e i dinosauri, hanno avuto la fortuna di poter visitare il famoso Natural History Museum di Londra. Viviamo a circa un'ora di strada dalla capitale inglese e quando possono le scuole ne approfittano.
Le insegnanti hanno ovviamente richiesto l'aiuto di qualche genitore accompagnatore e mi sono subito proposta. Sono state tante le mamme ed i papà che si sono proposti e in questo caso la scuola ha adottato la regola del "first-come, first-served" che vuol dire che i primi che consegnavano il modulo completato con l'offerta di partecipazione venivano scelti. Menomale ho imparato questa regola in fretta e sono stata scelta.
Accompagnare i figli in gita scolastica è una di quelle esperienze che ti fa capire tanto della maestra, dell'assistente alla maestra, della classe, delle relazioni tra bambini, di tuo figlio e di come interagisce con gli altri.
Le occasioni di essere parte degli eventi scolastici non mancano nel sistema scolastico inglese proprio perché il coinvolgimento dei genitori è ai massimi livelli. E non è solo un "li chiamiamo quando servono", ma è molto un "condividiamo con loro quello che facciamo a scuola appena possiamo" e questo lo trovo bellissimo.
Non ho mai pensato a scuola e famiglia come entità separate, anzi. Devono necessariamente collaborare, essere in sintonia per far fiorire ancora di più i bambini. Una frase bellissima che mi disse il maestro francese di Lorenzo, quando andammo a salutarlo e ringraziarlo per tutto quello che aveva insegnato a Lori, fu: "sono riuscito a fare un buon lavoro con Lorenzo solo perché dietro ci sono genitori come voi" per poi perdersi a farmi discorsoni sull'educazione dei bambini e su quanto, secondo lui, in quest'epoca sia carente e pessima.
Partecipando alla gita scolastica con la classe di Daniele mi ha fatto capire un sacco di cose sulla scuola inglese, alcune che già avevo intuito ed altre che mi hanno lasciato affascinata, estasiata e di cui ho approfonditamente parlato nel mio libro "Vivere in Inghilterra - Tutto quello, o quasi, che un genitore dovrebbe sapere".
L'organizzazione
Diciamola tutta, è il punto forte degli inglesi e del sistema scolastico inglese. Eravamo sei genitori accompagnatori e c'erano 6 cartelline pronte con dentro tutto il piano della giornata (non ho pensato di scattare una foto ma l'avrebbe meritata!) inclusa la mappa, la divisione in gruppi e i possibili rischi con le azioni correlate in caso d'emergenza. Ogni attività al museo era pianificata e abbiamo sgarrato solo di un paio di minuti. Un'organizzazione impeccabile per questa gita scolastica in Inghilterra.
Calma assoluta
Uno si immagina che per non sgarrare sulla tabella di marcia le maestre abbiano tenuto a stecchetto i bambini, stressandoli con dei probabili "dai andiamo, forza, veloci….". Non è così. In questa gita della classe inglese non ho mai visto un momento di stress, non ho sentito pressioni, tutto era molto rilassato, direi quasi Zen! Venendo dalla realtà scolastica francese e da quella italiana dei miei ricordi, devo dire che ne sono rimasta positivamente stupita e affascinata.
Il coinvolgimento del bambino
La visita non è stata una visita passiva, la gita prevede un immenso coinvolgimento di tutti i bambini. I piccoli alunni erano divisi in grupppi di 5, per comodità, ognuno con un determinato adulto, ma poi insieme alla maestra giravamo per il museo. La maestra non spiegava, la maestra stimolava. Sarà che ho qualche ricordo traumatico delle visite ai musei da bambina dove mi annoiavo ad ascoltare le guide chiacchierare e vedere questo approccio così diverso mi ha fatto venire voglia di tornare bambina e sostituirmi ai miei figli.
Per i bambini è stata una ricerca continua di un dettaglio legato a qualcosa fatto a scuola, giochi interattivi (il Natural History Museum di Londra in questo è al top!) e veniva lasciato tanto spazio ai bambini per esprimersi, per dire la loro, anche se sbagliata, ma sempre con quella voglia di lasciarli fare e premiarli anche solo per il semplice fatto d'aver provato a dire la loro. Ho assistito dal vivo a un approccio educativo pedagogico diverso da quello con cui sono cresciuta e a cui ero abituata, ed è stata una bellissima sorpresa.
La passione
Ho visto le maestre sedersi nel pullman nei posti dietro vicino ai bambini, chiacchierare con loro, giocare con loro a indovinelli e cantare. Ricordo benissimo, sia nella mia esperienza di bambina in Italia, sia nelle gite in Francia, come le maestre si sedevano sempre nei posti davanti con le colleghe a chiacchierare. Sento che qui le maestre lo sono per passione, per vocazione, non per semplice "lavoro". La passione è necessaria perché il loro ruolo è molto più importante di quello che possiamo pensare. I nostri figli devono sentirsi amati, anche a scuola, devono sentire che chi si dedica a loro ci tiene ed in questo la maestra di Daniele di quell'anno ci riusciva benissimo.
Lasciamoli essere bambini
Ho chiaro nella mia mente il ricordo della gita scolastica dell'ultimo anno di scuola materna in Francia per Daniele. Ad ogni esternazione emotiva dei piccoli alunni ritenuta "eccessiva", la maestra o l'assistente, li richiamava subito in riga. Dovevano stare zitti e buoni, sempre.
Nel tragitto sul pullman francese c'era un bel brusio, quel vociare allegro dei bambini che faceva scaturire subito l'urlo della maestra che voleva totale silenzio minacciandoli che li avrebbe puniti e che non voleva sentirli urlare (e vi assicuro che le urla per me sono ben altro!) fino all'arrivo a destinazione.
Il motto del preside della scuola francese dei miei figli, ricordato ai genitori alle riunioni di inizio anno, era "obéir, ecouter, travailler" (obbedire, ascoltare, lavorare).
Nella scuola inglese che frequentano adesso i miei figli il motto è "be the best you can be" (dai il meglio di te, per intenderci) che insieme al "have fun" (divertiti) vengono costantemente ripetuti ai bambini e ai genitori.
Non vedo qui in Inghilterra tutto il rigore che c'era in Francia, quel rigore che in alcuni bambini generava timore, in altri voglia di ribellione, in altri sottomissione ed in altri menefreghismo. Qui percepisco un rispetto del bambino come persona, al pari dell'adulto.
Educatori che rispondono alle loro domande serenamente e che non pretendono solo d'essere ascoltati ma sono lì per ascoltare; educatori che si abbassano e li guardano negli occhi senza fretta e magari trascurando pure l'adulto accanto a loro con il quale stavano parlando, perché il bambino ed il suo benessere vengono prima di tutto.
Sono tornata a casa da questa mia prima gita scolastica inglese serena, sempre più convinta che abbiamo trovato il posto giusto per noi e per i nostri figli e che loro sono in buone mani.
Se siete interessati ad approfondire la conoscenza del sistema scolastico inglese, qui trovate tutti gli articoli sull'argomento:
Il non aver vinto nessuna medaglia ha pesato come un macigno sulla loro sensibilità, sul loro essere bambini e sulla loro incapacità di saper perdere.
Non hanno portato a casa nessuno primo, secondo o terzo posto durante gli "sport day" della loro scuola primaria.
Erano emozionati, si sono impegnati, hanno dato il meglio, ma è andata così e non possiamo farci niente.
Al genitore resta il compito di consolare, spiegare, far capire che non sempre si può vincere, che l'importante è partecipare e che bisogna pensare a quanto sia stato divertente lo "Sport Day".
Nel mese di Giugno la scuola organizza, per gli Infant (i bambini da 4 a 7 anni) e per i Junior (dai 7 agli 11 anni), una giornata dedicata allo sport.
Settimana scorsa i Junior hanno gareggiato con salto in lungo, lancio del "vortex", 100 metri e 300 metri di corsa, la competizione più sentita.
I genitori fanno di tutto per non perdersi queste competizioni, il tifo è alle stelle e le gare di corsa sono le più seguite.
Genitori pronti per fare il tifo per i 100m
L'organizzazione non ha nulla da invidiare alle grandi manifestazioni sportive.
Amplificatori, microfono, uno degli insegnanti "speaker" carico come una molla, un'incitazione da stadio sentitissima dai bambini.
I genitori arrivano muniti di borsa frigo, stuoia, seggiolina da campeggio, macchine fotografiche e videocamere, pronti per seguire le tre ore di sport.
I bambini erano divisi in quattro squadre che si chiamano "house".
Le "house" non corrispondo alle classi ma raggruppano tutti i "siblings" (fratelli e sorelle) che frequentano la scuola.
Mi spiego meglio: Dani che è in Y2 fa parte della stessa "house" di Lori che è in Y4. E Paola, che entrerà in Reception in Settembre, farà parte insieme a loro della stessa "house". Tutti gareggiano per quella determinata house ed il punteggio realizzato va a sommarsi a quello degli altri partecipanti arrivando cosi' ad una classifica finale delle "house".
Un'esplosione di colore queste "house" rappresentate da magliette rosse, verdi, gialle e blu.
Per gli Infant, i più piccoli, le competizioni era più a stile "gioco", per cui si andava dalla corsa coi sacchi alla corsa ad ostacoli, per un totale di 13 giochi per i piccoli di Reception, per quelli di Y1 e quelli di Y2. La ressa di genitori era incredibile soprattutto per la corsa finale, credo fossero più o meno 50 metri da percorrere il più in fretta possibile per essere il primo a toccare il traguardo facendo cadere la corda tenuta all'arrivo dalle maestre.
Il bello della gara è arrivato quando, una volta terminata la corsa di tutti i piccoli partecipanti, hanno chiamato a gareggiare le mamme e i papà.
Mamme agguerrite, alcune a piedi nudi, alcune con tenuta sportiva pronte a dare il meglio per vincere, alcune evidentemente atletiche altre assolutamente no, ma tutte con quello spirito di "l'importante è partecipare e divertirsi" hanno dato un bel esempio ai bambini, pronti a fare il tifo! Io non lo sapevo, magari avrei evitato di mettermi le infradito e avrei gareggiato insieme a loro. Dani me l'ha chiesto e gli ho già detto che mi allenerò e preparerò per l'anno prossimo e gareggerò.
Non siamo una famiglia eccessivamente sportiva, a parte i nostri giri in bicicletta, qualche giornata in piscina, le racchette da tennis in giardino, il monopattino nel weekend e le passeggiate nel bosco, non ho figli fissati con un determinato sport, nonostante amino provare a fare di tutto.
Qualche volta penso che non li ho mai motivati a sufficienza e non li ho mai spronati troppo ad essere i migliori, i primi o ad essere competitivi.
In questo dovrò lavorare un po' su me stessa, insegnarli la giusta "competizione" e magari cambiare rotta visto che siamo finiti in un paese dove lo sport è importantissimo, nella vita di tutti i giorni e a scuola, e la competizione è ai massimi livelli e forse iniziare da ME è la partenza giusta.
I Nonni Far and Away sono partiti martedì all'alba ed il vuoto lasciato si sente immensamente, quel "colpo al cuore" che caratterizza le loro partenze ha colpito di nuovo. Hanno salutato i nipotini la sera prima, mentre si addormentavano, preparandoli al fatto che non li avrebbero trovati nel lettone la mattina successiva.
Quel lettone nel quale i tre marmocchi si sono infilati ogni giorno, per farsi coccolare da loro, per raccontargli i loro sogni e per parlare, parlare, parlare fino allo sfinimento.
Io mi svegliavo con le loro voci, le loro risa che si sentivano dal piano di sotto.
L'Isola di Wight ci ha stupito, ci ha lasciato a bocca aperta ed ha iniziato a farlo nella fase di organizzazione del viaggio quando, consultando online il sito dell'ente del turismo, il primo pensiero è stato "tre giorni non ci basteranno mai!".