Di dove sei? La domanda che mi fanno più spesso in espatrio

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    Quando mi chiamavano La Francese mi infuriavo.
    Ero piccola, ma difendevo con unghie e denti il mio status di nata all'estero da genitori italiani e ricordo che spesso mi sono trovata a spiegare ai miei coetanei il perché, nonostante fossi nata in Francia, io fossi e mi sentissi italiana.

    Una questione di sangue, dicevo, una questione di origini e di tradizioni, le stesse che spiego ai miei figli nati all'estero.

    Ed a testa alta aggiungevo pure d'essere un po' sarda, portandomi dietro un po' di fierezza paterna.

    Mia mamma all'età di 6 anni lasciò uno dei paesini più poveri dell'entroterra siciliano per trasferirsi in Francia con la sua famiglia, in una zona industriale dove la richiesta di manodopera era elevatissima negli anni '60.

    Mio papà lasciò la sua amata Sardegna ancora prima di compiere diciotto anni e dopo varie peripezie finì in Francia pure lui. Il destino ci ha poi messo lo zampino e li ha fatti incontrare.

    Il desiderio di mio padre di tornare in terra italica non si è mai spento negli anni in Francia e nel 1982 fecero il grande passo di rientrare in un luogo che però non aveva niente a che vedere con le loro origini. Scelsero la città di Parma. Io avevo 4 anni e mio fratello maggiore 8 e nei sedili posteriori della mitica Citroen 2cavalli lasciammo la Francia per iniziare una nuova vita in provincia di Parma.

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    Nonostante sia cresciuta in quella terra, le radici non sono mai riuscita a metterle in maniera profonda, non so bene perché.
    Forse perché non le hanno messe nemmeno i miei genitori?
    Forse perché i miei genitori per primi non si sentivano parmigiani e non sapevano bene come definirsi?
    Forse perché il trasferimento è stato una delle fasi più difficili per la nostra famiglia?

    Mio padre si è sempre sentito e si sente tutt'ora al 100% Sardo, mia madre non si sa!

    Il desiderio di vedere altro, di andare via ha sempre fatto un po' parte di me.
    Appena ho potuto sono scappata, per provare altro, per esplorare, per capire inconsciamente se magari in un altro luogo potevo starci meglio.
    Ho iniziato con gli anni dell'Università, scegliendo la facoltà di Economia del Turismo di Assisi come sede per i miei studi e poi lasciando l'Italia una volta laureata.

    Finché ero in Italia la frase "di dove sei?" non era necessaria, la mia R moscia e il mio accento erano innegabilmente parmigiani anche se mi è sempre piaciuto raccontare un pezzetto della mia storia e delle mie origini.

    Adesso se mi chiedono "Where are you from?" mi basta un semplice "Italian".

    Se il mio interlocutore è un appassionato di cultura italiana e cibo italiano allora posso citare il Parmesan Cheese o il Parma Ham per dare una collocazione geografica al luogo in cui vive la mia famiglia, risparmiando tutta la storia delle origini e radici e citando il fatto che da tanti anni vivo all'estero.

    Se però è un italiano in terra inglese a chiedermi "di dove sei?", lì faccio un po' fatica e non sono la sola.

    Sia io che mio marito rimaniamo un po' spiazzati di fronte ai "ciao, siete Italiani? Di dove?", ci guardiamo, senza dirci niente perché ci capiamo al volo e la risposta è sempre unanime "mh, non lo sappiamo di preciso, è una storia lunga!".

    Ed è così, non sappiamo più di dove siamo e dire solo italiani non basta più e forse non ci identifica nemmeno più completamente al 100%.
    Da dove veniamo noi cinque?

    Siamo una famiglia in continuo divenire, partita da un punto speciale come Dublino per un gioco magico del destino ed arrivata con varie peripezie qui in Inghilterra.

    Dal 2004 al 2009 a Dublino, dove ho incontrato mio marito e dove sono nati i nostri primi due figli, poi dal 2009 al 2014 nel sud della Francia, in Costa Azzurra dove è nata la piccola di casa e dal 2014 in Inghilterra.

    Per strada siamo cambiati, siamo evoluti, ci siamo criticati, ci siamo modellati, siamo cresciuti, abbiamo preso il bello di altre culture e ci siamo scrollati di dosso quello che non ci piaceva della nostra.
    Di dove sono non lo so più e questo ammetto che mi destabilizza.

    Non abbiamo un posto preciso in cui tornare in Italia, non abbiamo una casa o un posto fisico nel cuore in Italia in cui sappiamo che magari un giorno torneremo. Essendoci conosciuti all'estero, io e lui non abbiamo mai vissuto insieme in Italia, non abbiamo un posto che possiamo definire del cuore, non abbiamo un luogo in Italia che possiamo dire nostro.

    Per noi l'Italia sono i nonni, gli zii e quei pochi amici rimasti sopravvissuti alle difficoltà delle relazioni a distanza.

    Non ho radici fondamentalmente, se non quelle affettive.

    Questi miei pensieri silenziosamente arrivano ai bambini che sempre più spesso chiedono "perché siamo italiani?" e qualche volta hanno detto "siamo anche un po' inglesi, un po' irlandesi, poco francesi!".

    Se la vita all'estero ha forgiato il nostro carattere e ci ha fatto cambiare, per loro l'effetto è ancora più forte, loro che all'estero ci stanno crescendo, stanno frequentando la scuola e sono immersi ancora più di noi nella cultura.
    I miei figli sono un mix di tanto, di tutto, certe volte di troppo.

    Nei nostri rientri in Italia li vedo stupiti quanto me delle palesi differenze che si percepiscono

    "Mamma, ma qui le code non le fanno?"

    "Mamma che spettacolo, tutti i biscotti che piacciono a noi al supermercato!"

    "Mamma, ma non si fermano alle strisce?"

    "Mamma, perché mi chiedono tutti se ho freddo in maniche corte?"

    "Mamma, ma quante cose da mangiare ci prepara la nonna?"

    "Mamma, qui tutti chiacchierano fermi per strada!"

    "Mamma, fa un caldo cane qui!"

    "Mamma, è bellissimo stare dai nonni!"

    Potrei andare avanti, ma magari farò scrivere un post ai miei figli su cosa e come percepiscono i nostri viaggi in Italia.

    Li vedo come dei piccoli cittadini del mondo, che assorbono usi e costumi intorno a loro e, considerando che vivono in un ambiente multietnico, non vi dico tutto quello che imparano (nella loro scuola sono state contate 37 lingue diverse parlate dagli alunni!).

    Guardando questa situazione da un'altra prospettiva riesco a vedere un forte senso di libertà, quella libertà che infondo ci permetterebbe di spostarci di nuovo, di cambiare ancora, di non essere vincolati a nessun luogo.
    La libertà di pensare che se un luogo ci sta stretto possiamo cambiare, possiamo ricominciare da qualche altra parte.

    Riesco a vedere un'apertura mentale, una voglia costante di mettere in discussione la mia stessa cultura d'origine tenendone stretti a me i lati migliori, condividendoli con i miei figli e facendo scivolare via quelli che mi stavano scomodi e modellandomi addosso quelli di altre culture.

    Sento questa vita un continuo divenire e se mi incontrate per strada, vi prego, non chiedetemi "di dove sei?" perché ancora non lo so!


    Ascolta l'episodio del Far and Away podcast