La pandemia che divide: riflessioni dall'Inghilterra

    Home / Vivere in Inghilterra / Coronavirus /
    pandemia in inghilterra

    Siamo entrati nella seconda estate di pandemia e ci sentiamo come se fossimo da punto a capo. 
    Quel sentimento di "paura" iniziale, nella primavera 2020, quando Boris parlava di "immunità di gregge" e di prepararci a veder morire i nostri cari, un po' ritorna.

    Quel sentimento di sconforto e preoccupazione per le scelte del governo inglese, che non tutelano sufficientemente la salute pubblica, si fa sempre più forte.

    Alcuni giornalisti, dopo il discorso di Boris di lunedì 5 luglio, hanno definito l'approccio del primo ministro inglese alla pandemia come "all or nothing" (tradotto "tutto o niente"), proprio per la tendenza ad agire (sempre troppo tardi, come provano i fatti di quest'ultimo anno), lasciando prima la "libertà" alla gente, ma poi chiudendoci in lockdown per mesi infiniti perché i contagi e le morti erano arrivati a un punto tale che c'è stato bisogno di tanto tempo per farli scendere, lasciando strascichi di dolore e lacrime in tante famiglie, troppe.

    Questa primavera le cose sembravano andare meglio, con una campagna vaccinale efficace e veloce e con i numeri che scendevano dopo il dramma di gennaio e febbraio 2021 e con l'approccio "cauto" di uscita dal lockdown a 4 fasi.

    Adesso sembra di fare dei passi indietro.

    Non c'è più l'intenzione di essere cauti, ci sono pressioni forti, da chissà quali forze, per fare ripartire tutto più velocemente di prima, c'è l'urgenza di far girare soldi, di far tornare la gente a spendere a destra e sinistra, fregandosene dei numeri, della crescita esponenziale dei contagi, della gente malata, dei vulnerabili e del rischio varianti.
    Non ce ne capacitiamo.

    L'approccio del governo inglese, in questa seconda estate di pandemia, è quello di togliere ogni tipo di restrizione dal 19 luglio (la conferma di queste misure si avrà il 12 luglio), battezzato come "freedom day":

    • niente più obbligo di mascherine, la mascherina diventa libera scelta del singolo individuo se indossarla o meno
    • dal 19 luglio i datori di lavoro potranno pretendere di riavere i loro dipendenti in ufficio, niente più working from home (salvo decisioni dei singoli datori di lavoro ovviamente)
    • niente più limite nel numero di persone che si possono incontrare al chiuso
    • via libera ad ogni tipo di evento, senza limite al numero di persone, senza richiesta di certificati covid o altro
    • niente più distanziamento.

    Insomma, vogliono tornare a una vita normale, nonostante la pandemia continui in tutto il mondo e pure qui, visti i numeri giornalieri che ci ritroviamo.

    Il motto attuale di Boris è "imparare a vivere con il virus", un motto che molti inglesi hanno iniziato a condividere (sento anche sempre più dire la frase ritrita "è come un'influenza!").

    Ci sta, capisco che a un certo punto dovremo imparare a convivere con il covid, ma è davvero questo il momento? Con contagi in rapida salita e la popolazione non ancora completamente vaccinata? Con l'abolizione totale di ogni tipo di misura di contenimento dei contagi? Con il resto del mondo che lotta contro questa bestia?

    Togliere tutte le restrizioni, tutti gli strumenti di mitigazione della trasmissione del virus e lasciare circolare il covid liberamente, implicando una sorta di "ammaliamoci tutti e si salvi chi può" mi sembra azzardato. Mi sembra una mancanza di considerazione e rispetto nei confronti delle categorie più deboli e più a rischio e un ritorno alla logica dell'immunità di gregge con cui tutto iniziò qui in Inghilterra.

    Se c'è una cosa che ho imparato in questi mesi di pandemia sugli inglesi è questa: se il governo dice al popolo che può fare qualcosa, la maggior parte della gente interpreta il messaggio come "è sicuro farlo". Un esempio: quando il governo ha permesso gli incontri al chiuso di massimo sei persone, il messaggio che passava era che "è sicuro farlo", ma lo era davvero? Incontrarsi in 6 al chiuso in piena pandemia, considerando la trasmissione del virus per via aerea, era sicuro?
    Non tutti hanno il senso critico di mettere in discussione le scelte del governo, forse questa è una prerogativa degli italiani?

    Sembra poi che il rischio dell'insorgere di nuove varianti non venga tenuto troppo in considerazione, come spiegato, in questo articolo del Guardian, dal Professor Lawrence Young, virologo dell'Università di Warwick.

    Spesso mi ritrovo a leggere articoli scritti da professori illustri delle rinomate università inglesi e non riesco a capacitarmi del fatto che questo governo non li ascolti, ma vada per una strada completamente opposta, dettata da forte negligenza e menefreghismo nei confronti della salute pubblica e di NHS (servizio sanitario nazionale).
    Una pandemia gestita così non me la sarei mai immaginata, è al limite del surreale.

    Una pandemia che divide, che divide profondamente.
    Ha diviso famiglie, ha diviso fisicamente noi espatriati all'estero dalle nostre famiglie in Italia.
    La salita dei contagi mette in bilico la partenza estiva per molti di noi, fa aumentare il rischio e la probabilità di essere contagiati o di venire in contatto con positivi (con conseguente isolamento), rende la partenza un'impresa ardua con documenti vari e tamponi, che per una famiglia numerosa come la nostra sono un costo non trascurabile.

    Una pandemia che ha diviso le persone che la pensano in modo diverso.
    Scommetto che ad ognuno di voi sarà capitato di trovarsi a disagio con chi magari approcciava questa pandemia in maniera differente da come facevate voi.
    Il cauto preso di mira da quello che continua a dire che è solo un'influenza.
    Il preoccupato che discute con quello che la mascherina non se la vuole mettere.
    Il festaiolo che esclude quello che alle feste non se la sente ancora d'andare.
    Il genitore che non se la sente di mandare i propri figli in luoghi al chiuso in cui il contagio è più probabile, che deve giustificarsi con gli altri genitori che non vedono nessun problema.
    Questa pandemia ha creato una crepa profonda nella capacità di empatia della gente.

    Io per prima mi sono sentita fortemente giudicata per il mio modo di reagire e di agire in quest'ultimo anno. Sono punti di vista, sono approcci alla vita diversi, sono scelte personali che ognuno dovrebbe rispettare per evitare queste divisioni.

    La pandemia ha ampliato la forte divisione tra ricchi e poveri in questo paese. Delle inchieste hanno messo in evidenza come il rischio di morte per covid sia quattro volte maggiore nelle zone più povere d'Inghilterra (fonte: https://www.theguardian.com/world/2021/jul/06/covid-death-risk-almost-four-times-higher-poorest-england).
    L'ineguaglianza sociale è un grosso problema in Inghilterra e la pandemia non ha fatto altro che metterlo ancora più drammaticamente in luce.

    La pandemia ha diviso chi sentiva che il lockdown impattava sulla loro salute mentale e chi nel lockdown si sentiva protetto e al sicuro.
    I governanti stessi hanno spesso mascherato le loro scelte di allentare le restrizioni dietro all'attenzione per la salute mentale della gente, che ormai non ne può più di questa pandemia ed ha bisogno di tornare alla normalità. Il Mental Health è un discorso a cui fortunatamente pongono molta attenzione qui in Inghilterra, nelle scuole, nei luoghi pubblici, nei posti di lavoro etc.

    Non metto di certo in dubbio che i lockdown abbiano avuto un impatto enorme sulla salute mentale della popolazione (anche se qui in Inghilterra ci sono sempre stati lockdown molto "soft" con limitazioni ridotte se comparate ad altre nazioni), ma mi chiedo quanto impatto avrebbe avuto la pandemia sul Mental Health se questi lockdown non ci fossero stati? Se non fossero state attuate misure contenitive del virus?

    Se avete dimestichezza con l'inglese provate a leggere questo articolo che parla proprio di questo concetto, di quanto la morte delle persone care, l'ammalarsi e il convivere con gli strascichi del long covid, abbiano un impatto enorme sulla salute mentale delle persone, forse molto più di un lockdown.

    La pandemia ha diviso noi stranieri da chi straniero non è. Vivere all'estero in un momento così delicato è qualcosa difficile da spiegare a chi non si è mai mosso dalla sua nazione e non ha mai provato l'esperienza dell'espatrio. Trovarsi bloccati nella nazione in cui risiedi, senza poter tornare a casa dai proprio famigliari, è qualcosa che ti mette a dura prova. Se poi i tuoi famigliari si ammalano e tu non puoi correre da loro, è un vero dramma.

    Il poter avere la possibilità di leggere le news dal mondo in diverse lingue ci ha permesso di avere punti di vista diversi e un senso critico e di analisi indubbiamente più elevato (uno dei tanti benefici del bilinguismo!). Il sentimento di preoccupazione, incredulità e angoscia per le decisioni prese dal governo inglese, sono sentimenti condivisi da molti degli italiani qui in Inghilterra.

    Sono all'estero da più di 17 anni e questo è il momento più difficile mai vissuto. Amiamo profondamente vivere qui in Inghilterra, chi mi segue nel blog da un po' lo sa bene, e amiamo la cultura inglese. Abbiamo scelto di venire a vivere qui, per tanti motivi.

    Questa pandemia ha messo in discussione tante delle nostre convinzioni ed ci ha messo in grossa crisi, non possiamo di certo negarlo.

    Ci sentiamo vulnerabili, non ci sentiamo protetti da un governo che non mette la salute pubblica prima di tutto, veniamo risucchiati da quel desiderio strano, mai provato prima, di fuggire via, di cambiare aria.

    Quel senso pesante nel petto, un'emozione nuova, che mi fa tanta rabbia, perché io qui ci sto bene e non riesco più a riconoscere il paese di cui ero innamorata. Questa pandemia divide i sentimenti, spezza le nostre sicurezze, che infondo sicurezze non erano.

    La pandemia divide chi legge e si documenta, chi studia e approfondisce per il gusto di conoscenza, affidandosi alla scienza, da chi della scienza se ne frega e si focalizza solo sull'idea di libertà che gli è stata rubata.

    Ci vorrebbero post infiniti per approfondire il discorso relativo alla capacità di sacrificio collettivo, alla percezione del pericolo in piena pandemia e al livello personale di empatia e resilienza. Troppo spesso le azioni dei cittadini sono dettate dai propri egoismi e dall'incapacità di accettare il cambiamento, il sacrificio, di fare sforzi per il bene comune. Si ha la tendenza a guardare i proprio orticello, ammettiamolo.

    Adesso non riesco a smettere di pensare alle persone vulnerabili, alle persone malate, che probabilmente non guardano al 19 luglio come al "freedom day". Loro che avevano ricominciato a uscire dopo il lockdown, a prendere i mezzi pubblici e andare a teatro, sentendosi protetti dal fatto che veniva rispettato il distanziamento, le mascherine erano obbligatorie e tutte le norme di contenimento del virus venivano messe in atto.

    Queste persone non saranno più protetti dalla comunità, perché la comunità ha deciso che le restrizioni non servono più, che le mascherine non vanno più usate e che il distanziamento fisico va abolito. Per cui, per alcuni prendere i mezzi pubblici dal 19 luglio sarà rischioso, andare nei luoghi pubblici come teatri e cinema sarà impossibile perché nessuno indosserà la mascherina e nessuno terrà le distanze. E non ditemi "ma intanto sono vaccinati", perché chiunque si sia documentato un po' saprà che nessun vaccino offre una protezione al 100%.

    E non ditemi nemmeno che è come un'influenza per favore, ho visto gente ammalarsi di covid che sta ancora lottando con il long covid, abbiamo tutti visto i numeri dei morti, ho sentito testimonianze di medici e infermieri che hanno vissuto quell'inferno in prima linea e no, non è un'influenza, non per tutti.

    Ho quella sensazione strana che si stia scherzando con il fuoco, che si pecchi di presunzione. Mi sembra quasi come se fossimo ad una corsa: la Panda è la campagna vaccinale inglese, la Porche è il virus che si diffonde; la Panda spinge forte sull'acceleratore, per arrivare prima della Porche. Ce la farà?
    Io vorrei solo cinque biciclette per pedalare libera nella natura senza pensieri nella testa.