Bilinguismo ed empatia: il valore della lingua madre per tutti

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    bilinguismo e lingua madre

    I rientri in Italia per fare visita alle nostre famiglie sono per me un'esperienza culturale potentissima.
    Non sento più quel "torno a casa" che ho provato solo lievemente all'inizio della mia vita all'estero, ma sento di mettere piede in una terra che osservo con occhi da straniera, in cui mi viene da dire "sorry" o "please", in cui gioisco come una bambina per ogni singola delizia culinaria e in cui le caratteristiche diverse si fanno ancora più evidenti, nel bene e nel male.

    Da quando mi sono costruita la mia vita e la mia famiglia all'estero, in Irlanda, passando poi per la Francia e stabilendoci poi in Inghilterra, sento forte che casa è dove sono con loro.

    E' stata casa l'appartamentino in centro a Dublino dove io e Gerardo abbiamo iniziato la convivenza.

    E' stata casa l'appartamento nella periferia di Dublino dove sono nati Lorenzo e Daniele.

    E' stata casa l'appartamento ad Antibes, in Costa Azzurra, dove è nata Paola (anche se lì abbiamo faticato un po' di più)

    Casa adesso è questa cittadina a sud ovest di Londra dove i nostri figli stanno crescendo integrati in una cultura molto diversa da quella di origine dei loro genitori, ma riuscendo a sentirsi comunque italiani.

    In tutte queste "case" la nostra lingua era con noi, la lingua italiana è stato il collante tra la nostra cultura di origine e i nostri figli. La nostra lingua madre ci ha permesso di costruirci il nostro mondo italiano tra le nostre quattro mura, quelle in cui noi cinque ci sentiamo a casa. La nostra lingua è la nostra identità.

    I miei sporadici soggiorni nel Bel Paese provocano in me uno shock culturale inverso, che fortunatamente capisco, accetto e analizzo sempre con molta intensità.

    Fanno inoltre scaturire riflessioni molto interessanti e profonde sulle differenze culturali, sul bilinguismo, sull'integrazione e su quanto la vita all'estero, vissuta intensamente e umilmente, mi abbia aiutato ad aprire gli occhi su tanti aspetti legati alla multiculturalità, a provare più empatia nei confronti di chi lascia tutto e cambia nazione, come noi.

    Quando mi trovo a parlare con persone che non conoscono la nostra storia, sia qui in UK, che in Italia, che altrove, è molto comune che mi vengano fatte domande sul nostro bilinguismo, su come se la cavano i ragazzi a scuola e se parlano italiano. E' un argomento che affascina, che incuriosisce e per il quale ci sono ancora troppi preconcetti e falsi miti.

    Rispondo sempre molto onestamente dicendo che si trovano bene, che sono tutti e tre molto bravi, che tra di noi parliamo italiano, racconto che sono fluenti in entrambe le lingue, ma che l'inglese per adesso è inevitabilmente la loro lingua dominante.

    Racconto di come i miei figli, nonostante non parlassero la lingua del posto, non abbiano tenuto indietro la classe in cui sono stati inseriti, ma che in pochi mesi hanno imparato la lingua e alla fine del primo anno scolastico erano al pari del livello medio della classe.

    Racconto di quante lingue si sentono davanti a scuola, di come la scuola incentivi i genitori immigrati a continuare a parlare la loro lingua madre in casa dando poi consigli e strumenti per supportarli nel loro percorso scolastico. Ci sono studi fatti in UK che dimostrano che gli studenti che hanno l'inglese come lingua aggiuntiva (quindi che hanno una lingua madre diversa e sono bilingue/multilingue) hanno performance migliori degli altri studenti, mettendo quindi in evidenza le potenzialità del crescere bilingue e soprattutto bilingue biculturali.

    Racconto che dove viviamo noi c'è un grossissima comunità di italiani che tiene vive le proprie tradizioni e che fa gruppo.

    Racconto che non parlo inglese ai miei figli, ma che mi impegno ogni giorno per mantenere viva la nostra lingua madre nella mia famiglia e trasmettere le tradizioni italiane ai miei figli.

    Racconto che mi sento a casa in Inghilterra, ma mi sento anche una straniera che è riuscita ad integrarsi, non senza fatica, ma grazie ad un tipo di società che mi ha permesso di farlo (abbiamo la fortuna di vivere una zona in cui la multiculturalità si respira ovunque).

    Sono una mamma italiana di tre ragazzi italiani nati all'estero che grazie alla mia lingua ha creato legami con loro, come le mamme immigrate in altre nazioni cercano di fare con i loro figli.

    Quando sento storie di immigrati a cui viene chiesto di smettere di parlare la propria lingua mi vengono i brividi, quella è una ferita alla propria identità e lo dico perché ci è successo. Poi ho anche pensato: se uno ha come lingua madre l'inglese ed è un immigrato, gli verrà chiesto di non parlare la sua lingua?

    Non so voi, ma a me sembra di percepire una convinzione strana, sottile, che può sembrare quasi innocente, ma che invece è un po' pericolosa.
    Quella convinzione che esistano lingue che hanno più valore di altre, che vengono percepite come migliori o addirittura più intelligenti. L'avete notato anche voi? Se qualcuno dice che parla inglese non suona meglio di uno che dice che parla polacco, arabo, rumeno, per esempio? Pensiamoci.

    L'ho vissuto sulla mia pelle, quando i miei figli erano bilingue italiano-francese non c'era la stessa ammirazione che si sente adesso che sono bilingue italiano-inglese, provate a farci caso con amici o conoscenti.

    Sembra che i benefici del bilinguismo ci siano se si parla di bilinguismo italiano-inglese, ma che sussistano meno se si parla di bilinguismo italiano-rumeno, per esempio. Non è assolutamente così e vi consiglio vivamente di leggere il mio libro Bilinguismo In Tante Forme per farvi un'idea della complessità e del fascino del fenomeno del bilinguismo in tutte le sue forme.

    Io ci penso e ripenso e credo che servirebbe più empatia anche quando si parla di bilinguismo, immedesimiamoci nell'altro, dando valore alla loro lingua madre come lo diamo alla nostra.

    Sembra che inconsciamente si presupponga che esistano lingue superiori ad altre. E visto che le lingue sono l'identità di un popolo, ecco non è difficile trarre conclusioni.

    Lo scopo di questo articolo è anche quello di riflettere sulla discriminazione linguistica nelle società e magari riflettendone e parlandone si potrebbe arrivare ad aprire la mente, cambiare visione e guardare le cose da una prospettiva diversa mettendosi nei panni dell'altro, colui che parla una lingua diversa, che magari non parla la nostra lingua perfettamente (senza che questo ci faccia pensare che non è intelligente quanto noi), che magari ha un accento diverso.

    Ho avuto momenti durante il mio espatrio in cui qualcuno mi ha fatto sentire "meno intelligente" solo perché in quel frangente non mi venivano le parole giuste in inglese o in francese, avevo sbagliato pronuncia o non riuscivo ad essere comunicativa come avrei potuto essere nella mia lingua madre.

    Forse per capire veramente a fondo questo discorso dovremmo tutti fare un'esperienza all'estero: emigrare per sopravvivere, imparare una nuova lingua, adattarci a una cultura diversa mentre lottiamo per mantenere vive le nostre tradizioni e l'italiano.

    Parlare la propria lingua madre, quella che ci appartiene, ci permette di raccontare meglio di noi, la nostra storia, la nostra cultura, lo vivo quotidianamente con i miei figli.

    Non dovremmo più sentire storie di immigrati a cui viene consigliato di non parlare la propria lingua ai figli, con il rischio che questo venga vissuto come una grande perdita per loro, un sentirsi non accolti.

    A noi è successo, ci è stato detto da una maestra in Francia che avrei dovuto smettere di parlare italiano ai miei figli se volevo che imparassero bene il francese. Niente di più sbagliato e niente di più traumatico per la nostra identità.

    Ci vorrebbe un sistema scolastico e sociale che promuove queste diversità, che fa sentire questi bambini stranieri accolti e accettati per quello che sono e per la lingua che parlano, con pazienza, con attenzione alla loro integrazione e con tanta cura. 

    Parlando di integrazione, come mi sono integrata io in Inghilterra?
    Facendo volontariato a scuola o nelle associazioni caritatevoli che accettano volontari di ogni nazionalità, frequentando la biblioteca locale e tutti gli eventi che organizzava, partecipando agli eventi organizzati dalle scuole per celebrare la diversità (come per esempio la settimana internazionale), andando agli incontri nelle chiese organizzati dai volontari inglesi per fare conversazione con gli stranieri, iscrivendomi a corsi di inglese accessibili a tutti (dal punto di vista economico, perché promossi e sponsorizzati dalla contea in cui viviamo), leggendo tanti libri sulla cultura britannica e imparando a gestire le small talk per approcciarmi meglio agli inglesi.

    Questi sono esempi di iniziative, da entrambe le parti, che possono agevolare l'integrazione.

    Nonostante questo, rimango comunque una straniera, rimarrò quella che parla inglese con un lieve accento italiano e che parla italiano con la R francese e che vorrebbe non gli fosse mai fatto notare.

    Sarò sempre fieramente straniera, ma sono grata d'essere immersa in un ambiente multiculturale in cui la diversità è una cosa normale e viene valorizzata (nonostante la Brexit, nonostante la piccola percentuale di britannici che probabilmente non ci apprezza, anche se non ce lo dà a vedere).

    Ogni tanto penso che ci siamo dimenticati troppo in fretta di quando erano i nostri avi che partivano per terre lontane, come oggi fanno tutti i migranti che arrivano in Italia.

    Erano stranieri gli italiani che nel dopo guerra vennero in Inghilterra per lavorare nei campi o nelle miniere, che non avevano di certo studiato l'inglese a scuola.

    Era straniera la famiglia di mia madre che nel 1960 lasciò la Sicilia per andare a lavorare nelle fabbriche in Francia e che parlava solo siciliano, ma non si faceva sentire in giro, perché era una vergogna.

    Era straniero il bisnonno di mio marito immigrato negli Stati Uniti agli inizi del '900, quando con 10 dollari in tasca è andato a cercare fortuna oltreoceano.

    Ci sono stati momenti storici in cui eravamo noi gli stranieri che andavano all'estero per sopravvivere, ma sembra che la nostra memoria, magari in maniera inconscia, non lo riporti a galla.

    Ricordiamocelo più spesso, proviamo a immedesimarci in ogni singolo immigrato che incontriamo (inclusi noi!), impariamo a dare valore alla multiculturalità come conoscenza, come ampliamento dei nostri punti di vista, come scoperta di modi di fare e tradizioni nuove, come cambiamento della nostra percezione delle cose, ne usciremo tutti più ricchi.


    Ascolta l'episodio del Far and Away podcast

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